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Il Vaso di Pandora: lo apro o no?

“L’unico modo per liberarsi di una tentazione è cedervi” affermava Oscar Wilde. In quanti momenti della nostra vita siamo portati a scoperchiare quel vaso di Pandora sinonimo che molto spesso ha assunto valenza negativa, come se aprirlo comportasse conseguenze catastrofiche per noi e le persone che ci circondano?

Il mito del vaso di Pandora narra che Zeus per vendicarsi dell’affronto di Prometeo, “regalò” Pandora all’umanità. Pandora fu la prima donna, resa stupenda da Afrodite, abile da Era, alla quale Apollo aveva insegnato la musica e vivificata da Atena. Anche Ermes aveva regalato qualcosa alla donna: la curiosità con la quale Pandora aprì il famoso vaso che, al posto del grano, conteneva gli spiriti “maligni” della vecchiaia, gelosia, malattia, pazzia e vizio. Pandora voleva essere una punizione esemplare da parte di Zeus nei confronti dell’umanità. Tuttavia ogni punizione contiene in sé una purificazione. Quindi l’atto psicologico di disobbedienza agito dall’apertura del vaso potremmo leggerlo come una purificazione della psiche stessa. Il vaso di Pandora, nell’iconografia mitologica, non era un vaso comune da pianta ma un Pithos, ovvero una giara da immagazzinamento nella quale si potevano conservare provviste come cereali, vino, olio. Il contenuto di esso, per definizione, è quindi qualcosa di utile, non un male, ma un rifornimento che non può essere lasciato dentro per troppo tempo, altrimenti si decomporrebbe. La figura del vaso viene ad essere quindi metafora di un recipiente, un oggetto nel quale teniamo nascosta la realtà fatta di emozioni, tentazioni, desideri, tensione, vuoti con i quali tutti noi, prima o poi, dobbiamo far i conti. https://www.psiconovel.it/la-rabbia-come-riconoscerla-affrontarla-e-superarla/

“La curiosità è donna” molto spesso si sente dire e Pandora attraverso il dono di questa virtù ci insegna come curarsi di, tener cura di qualcuno o qualcosa e perciò ad essa ci si riferisce come la prima terapeuta della mitologia, la donna a cui è stato donato tutto e che dona tutto (dall’etimo pan, tutto e doron, dono; ovvero tutti i doni). Il suo modo di aver cura di qualcuno o qualcosa è donarsi, donare e ricevere dall’altro in una sorta di attraversamento psicologico, proprio come accade in un’alleanza terapeutica (https://www.psiconovel.it/alleanza-terapeutica-conosciamoci-meglio-2/) con l’altro o con sé stessi. Pandora rappresenta la nostra parte curiosa e terapeutica che si prende cura di noi in un modo particolare, ovvero attraverso la liberazione del contenuto del vaso interiore: l’inaspettato e i mali del mondo. In alcuni momenti della vita il nostro vaso intrapsichico trabocca di emozioni ed inevitabilmente siamo costretti ad aprirlo per vedere cosa contiene e cosa sta appesantendo l’anima. Compiere l’inaspettato significa tenere cura della propria psiche mettendo in atto il contrario e portando alla luce i nostri desideri inespressi per riconoscerli ed affrontarli. I mali del mondo sono necessari per entrare in relazione con l’altro; in questo modo “teniamo acceso il lume dell’oscurità, perché solo in essa la nostra candela acquista un senso” (Jung). Lasciare coperto il vaso di Pandora equivale a marcire dentro. Il contenuto necessita di essere “svasato”, e con curiosità e  coraggio  curarsi e purificarsi. Questa scoperta fatta, avviata e protratta in un contesto protetto come il setting terapeutico potrebbe essere il filtro necessario per fare buon uso del celato e rendere la scoperta catartica.

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