L’esperimento dello psicologo polacco Solomon Asch risale al 1955 ed ha come precursore il concetto di conformismo. Secondo lo studioso l’appartenenza dell’individuo ad un gruppo comporta diverse conseguenze, tra queste la possibile modifica dei propri comportamenti, giudizi e finanche le proprie percezioni, al fine di conformarsi alle aspettative del gruppo.
La conformità è l’allineamento dei propri pensieri a quelli mostrati dall’intero sistema sociale a cui si appartiene. L’individuo interiorizza un sistema di regole che orienterà il proprio comportamento nelle più svariate situazioni, costituendosi come un vero e proprio riferimento normativo. Questo sistema di regole riguarda per lo più giudizi o azioni accettate dalla società, e non vere e proprie norme scritte, possono infatti essere sia esplicite che implicite, e agiscono sull’operato dell’individuo senza che lo stesso ne sia realmente consapevole. Il fatto che il soggetto segua inconsapevolmente tale sistema ne rafforza le capacità di condizionamento, in quanto lo stesso si convince di agire nel rispetto della propria individualità.
Asch si occupò di indagare il conformismo attraverso il concetto di acquiescenza; il gruppo esercita una pressione non esplicita né coercitiva sul singolo, bensì dovuta all’unanimità delle scelte e delle opinioni gruppali, producendo nel soggetto la convinzione che il comportamento del gruppo sia giusto, e si uniforma a sua volta. Lo studioso partì da due interrogativi:
- Quanta autonomia conserva l’individuo se messo di fronte al gruppo che esprime valutazioni diverse dalla sua?
- Quali condizioni limitano gli effetti che la pressione del gruppo esercita sull’individuo?
Cercò di rispondere a queste domande attraverso un preciso protocollo sperimentale che vedeva partecipi 8 soggetti, 7 di essi erano complici dello sperimentatore mentre uno era ignaro della situazione; quest’ultimo infatti riteneva di partecipare ad un semplice esercizio di discriminazione visiva.
Lo sperimentatore presentava ai soggetti delle schede con tre linee di diversa lunghezza, su un’altra scheda veniva disegnata un’altra linea di lunghezza uguale ad una delle tre presenti sulla prima scheda. Veniva chiesto ai soggetti, iniziando dai complici, di indicare quale fosse la linea corrispondente tra l’una e l’altra scheda. Nei primi due giri di richiesta era stato detto ai complici di rispondere in maniera reale alla domanda, mentre, dalla terza serie in poi, gli stessi iniziavano a rispondere uniformemente in maniera errata. Il vero ed unico soggetto sperimentale veniva interpellato per ultimo, ed in buona parte si uniformava alle risposte scorrette date dalla maggior parte del gruppo.
I risultati dello studio riportarono che il 75% dei soggetti sperimentali diede risposte palesemente errate almeno una volta su 12 somministrazioni, mentre senza il condizionamento del gruppo le risposte esatte salivano al 98%.
- Introducendo un altro soggetto sperimentale al gruppo, ossia un “non complice”, la percentuale di risposte errate si abbassava del 10%.
- Un’ulteriore variante dell’esperimento prevedeva l’introduzione di un soggetto che dava sempre la risposta esatta, in tale caso le risposte errate si abbassavano ulteriormente al 5,5%.
Tali risultati si ponevano a conferma dell’ipotesi di conformità sociale del singolo individuo.
Fu chiesto successivamente ai soggetti come mai avessero scelto di cambiare la propria risposta, conformandola a quella del gruppo. Le spiegazioni furono per lo più di due tipi, alcuni pensavano che il resto del gruppo fosse in possesso di informazioni più dettagliate rispetto a quelle a propria disposizione, altri invece si preoccupavano di apparire ridicoli rispondendo in maniera differente rispetto alla maggioranza. In psicologia, in questi casi, si parla di influenza informativa, quando l’individuo si adegua alla maggioranza se ritiene che essa possieda informazioni più corrette sulla situazione, e influenza normativaquando l’uniformarsi nasce dal timore di non essere accettati dal gruppo per cui ci si conforma alle sue attese.
Secondo Asch, inoltre, il calo del conformismo visto nelle varianti dell’esperimento era da riscontrarsi nella rottura del consenso sociale e dell’unanimità, che portava il soggetto ad una maggiore autonomia. La presenza di almeno un soggetto che dissentiva dalla visione generale era sufficiente a limitare gli esiti della acquiescenza. Ulteriore fattore incisivo risultava inoltre essere la dimensione del gruppo, maggiore era il numero di persone maggiore era la difficoltà di discostare dalla visione unanime.
Proviamo ad immaginare le possibili conseguenze di questi meccanismi adottando una visione più ampia del fenomeno. Se la nostra capacità di giudizio, ma anche di comportamento o addirittura, come per l’esperimento di Asch, di percezione può essere inconsapevolmente influenzata dalla appartenenza ad un gruppo, le nostre scelte, decisioni o atteggiamenti possono vertere dalla parte sbagliata solo ed esclusivamente per l’azione del conformismo. Tale situazione potrebbe spiegare anche situazioni particolarmente delicate come il razzismo nei confronti delle minoranze, il sessismo, l’omofobia. L’accettare di poter essere influenzabili ed avere il coraggio di proporre la propria visione delle cose, anche a discapito della maggioranza, potrebbe rivelarsi, in alcuni casi, la chiave di volta per approdare a più giusti risultati.
E cosa ci dite di voi? Vi siete mai trovati in situazioni in cui avete detto qualcosa di diverso, rispetto al vostro reale pensiero, per non contraddire la maggioranza? Avete mai dissentito dal resto del gruppo proponendo una vostra visione individuale? Se si come è andata in quel caso? Fatecelo sapere nei commenti!
dissentendo va sempre male perchè il gruppo di conformisti ha paura del pensiero diverso