Si parla di Victim blaming o colpevolizzazione della vittima ogni volta in cui una persona sia ritenuta ingiustamente responsabile, totalmente o parzialmente, dell’attacco subito. Il gradiente di colpevolizzazione varia in modo sostanziale in base al tipo di aggressione subita e alle giustificazioni che la vittima riesce ad addurre.
Nel 1971 il sociologo William Ryan, definì il victim blaming come
l’atteggiamento con cui una parte della popolazione aveva imparato a “Giustificare la disuguaglianza ed i reati violenti trovando difetti nelle vittime della disuguaglianza e dei reati stessi”
Il campo preferito in cui la colpevolizzazione della vittima si manifesta è certamente quello dei reati di natura violenta e sessuale, soprattutto quando la vittima in questione è una donna, una donna vittima di tratta o una persona appartenente alla comunità lgbt+. Ciò accade come esito infausto di un millenario retaggio culturale, introiettato e divenuta lecita espressione di un’agire comune: la teoria del “mondo giusto”. Secondo tale teoria ciascuno ha ciò che si merita, ciò insieme alla radicalizzazione degli stereotipi di genere, permette al fenomeno del victim blaming di continuare ad esistere, per fortuna con estrema resistenza! Infatti, nelle dinamiche violente, nelle aggressioni fisiche o sessuali, l’uomo mette in campo la sua lecita natura aggressiva e predatoria, mentre la donna con il suo corpo sessualizzato, risponde con la sua innata passività. Questa dinamica è specchio della stereotipizzazione dei ruoli di genere di origine patriarcale ormai radicata nel nostro sistema sociale, rendendo non solo, per certi versi, la violenza accettabile agli occhi di chi la guarda, ma contribuendo ad alimentare le distorsioni culturali che giustificano le dinamiche che la favoriscono. L’atto violento, in questo caso, è dunque provocato dall’abbigliamento succinto, dall’atteggiamento sessualizzato, dal tasso alcolemico presente nel sangue, dall’aver passeggiato ad un orario poco consono o dall’aver attraversato un viale poco illuminato da sola, senza darsi la possibilità di essere salvata! In sostanza, “Donna, l’abuso ti è capitato perché non hai rispettato le regole!”
Il victim blaming è dunque esito di un pregiudizio di pensiero volto a mantenere lo status quo, in sostanza sostiene una filosofia per la quale ledere la libertà altrui è accettabile se utile a mantenere la propria posizione di potere o a ristabilire delle regole di conformità. Tale fenomeno è così diffuso e tollerato che viene spesso spettacolarizzato in alcune trasmissioni televisive o testate giornalistiche, dove si commentano fatti di cronaca, sottoponendo le vittime ad un processo pubblico che le costringe ad addurre giustificazioni alla loro condizione di vittima, al posto di biasimare l’aggressore individuando in esso la sola responsabilità dell’azione e la vera origine del problema! (All’interno dei tribunali la battaglia per smettere di sottoporre a processo la donna vittima di stupro è stata portata avanti dall’avvocata Tina Lagostena Bassi, Processo per stupro)
Le conseguenze del victim blaming per coloro che hanno subito un crimine sono ingenti e molto pericolose:
- Un sostanziale riduzione delle denunce dei torti subiti
- Una riduzione dell’autostima provocata dall’umiliazione derivante dalla colpevolizzazione
- Sintomi depressivi, dovuti ad una perdita di controllo, mancata possibilità di risarcimento, e messa in discussione dello status di vittima provocato dalla colpevolizzazione
- Sintomi ansiosi, dovuti alla conferma del potere detenuto dall’aggressore contro il quale si può fare ben poco
- Rischio di sviluppare sintomi da Complex PTDS o Trauma Complesso, esito di traumi cumulativi dovuti alla ri-vittimizzazione
Le vittime di reati meritano di essere sempre credute, sostenute, ascoltate, rispettate nelle loro scelte e nei loro tempi, è indispensabile ad ogni livello ostacolare e biasimare qualsiasi atto di victim blaming agito tanto a livello istituzionale quanto a livello mediatico.