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Sai cosa ti piace o ti piace ciò che sai?

Il seguente articolo tratta un argomento molto interessante attinente alla psicologia sociale, il fenomeno della mera esposizione, scopriamolo insieme!

Per “mera esposizione” si intende la semplice esposizione ad uno stimolo, tale condizione ci permette di spiegare, in buona parte,fenomeni che sembrano sfuggire al nostro controllo, alle nostre scelte, ai nostri atteggiamenti, influenzando le proprie disposizioni affettive e/o comportamentali. Il primo ad occuparsene fu uno psicologo polacco, Robert Zajonc nel 1968, egli partì dall’assunto che semplici e ripetute esposizioni ad uno stimolo sono condizione sufficiente a determinare nel soggetto una disposizione positiva verso lo stimolo stesso. L’autore ha formulato le sue ipotesi basandosi su indagini di tipo correlazionale, tra la connotazione affettiva di una parola e la frequenza con la quale questa viene utilizzata, e su indagini sperimentali, manipolando la frequenza di esposizione a stimoli rappresentati da simboli senza significato (si servì di ideogrammi cinesi) e la connotazione attribuita dai soggetti agli stessi, valutandone l’effetto. Ciò che Zajonc voleva evidenziare è l’esistenza di una relazione lineare tra la frequenza dello stimolo e l’effetto ottenuto. Egli condusse i suoi esperimenti servendosi anche di parole straniere e di volti di persone sconosciute, presentandole a tre diverse categorie di soggetti sperimentali: soggetti che vedevano l’immagine per la prima volta; soggetti che avevano già visto l’immagine alcune volte; soggetti che avevano visto le immagini già 20 volte. Gli esiti di tali esperimenti supportarono le ipotesi iniziali di Zajonc in quanto l’ultimo gruppo fu quello che registrò l’indice di gradimento degli stimoli più alto. Partendo dai suoi studi molti autori approfondirono il fenomeno scoprendo che lo stesso è attribuibile alla maggior parte degli stimoli che quotidianamente percepiamo. La semplice ripetizione di un qualcosa alla nostra attenzione rende l’esperienza futura della stessa positivamente connotata, ci consente di attribuire a quella cosa, oggetto o anche persona la caratteristica della familiarità, e ci permette di sentirci a nostro agio e maggiormente predisposti ad accoglierla nel nostro vissuto esperienziale. Bornstein, uno studioso che seguì le orme di Zajonc, effettuò diversi test che lo portarono a descrivere alcune caratteristiche stabili del fenomeno integrando le valutazioni iniziali di Zajonc:

Caratteristiche dello stimolo, il gradimento aumenta per tutti gli stimoli alla frequenza di esposizione tranne che con i disegni per cui c’è bisogno di una tempistica maggiore, ed è più elevato con stimoli complessi rispetto a quelli semplici
Presentazione degli stimoli, l’incremento del consenso si verifica con l’esposizione ma non in maniera lineare, dopo un certo numero di esposizioni l’atteggiamento positivo varia in maniera moderata fino a bloccarsi, a causa di una sorta di “effetto noia” all’esposizione prolungata
Misurazione delle variabili, gli effetti sono maggiormente rilevabili non in conseguenza diretta delle esposizioni ma a distanza di due settimane dalle stesse, il tempo è un fattore determinante perché ci aiuta ad assorbire gli effetti derivanti dall’esposizione allo stimolo nel tempo
Variabili individuali, non sono rilevabili sulla base di età, sesso, ceto sociale, bensì per caratteristiche personali quali bisogno di approvazione, ansia, e piacere per l’ambiguità

Perché non ci piacciamo in foto?

Un altro psicologo, Theodore Mita, ha associato questo fenomeno al fatto che gli individui tendono a vedersi sempre brutti nelle foto scattate dagli altri. Effettuò diversi studi in merito e giustificò tale situazione asserendo che passiamo la maggior parte del tempo a vedere il nostro riflesso allo specchio, il quale ci mostra un’immagine speculare, per cui ribaltata, e quindi siamo abituati a guardare noi stessi da quel punto di vista; nel caso delle foto ci troviamo invece a guardare una versione diversa della nostra immagine che il cervello non riconosce come familiare.

Perché predilegiamo determinate canzoni o specifici vestiti?

Partendo da queste premesse proviamo a considerare le implicazioni di tale fenomeno nelle nostre vite. Vi è mai capitato di ascoltare delle canzoni che inizialmente non vi hanno particolarmente colpito e di innamorarvene solo all’ennesimo ascolto? Potrebbe essere l’esempio dei tormentoni estivi, che magari inizialmente non ci piacciono e poi ci ritroviamo involontariamente a canticchiare; tenendo inoltre in considerazione l’effetto noia, considerato da Bornstein, si spiegherebbe anche il perché dopo un certo lasso di tempo non sopportiamo più l’ascolto di canzoni che per lungo tempo abbiamo riprodotto volentieri. Oppure si potrebbe pensare adindumenti o nuove mode che inizialmente tendiamo a criticare, ma dopo averle viste diverse volte pubblicizzate o nelle vetrine dei negozi iniziamo ad apprezzare.

Come fanno a farci piacere anche ciò che potremmo non gradire?

Sembra che l’effetto della mera esposizione sia ancora più forte quando gli stimoli sono presentati ripetutamente in maniera subliminale. Quando non siamo consapevoli di aver visto un elemento tante volte prima, finirà per piacerci e per attirare la nostra attenzione ancora di più. Tale meccanismo viene spesso utilizzato in maniera persuasiva dalle pubblicità, ma se volessimo riscontrarlo nella nostra vita quotidiana potremmo trovare una affinità nella scelta dei partner, siamo più attratti da persone che condividono valori o caratteristiche a noi familiari, motivo per cui spesso si riscontrano somiglianze tra le caratteristiche personali dei propri partner ed i propri genitori ad esempio (per maggiori informazioni Cronistoria di un amore: come nasce, cresce e finisce una relazione)

Gli esempi in merito alle implicazioni della mera esposizione sono infiniti, a partire da ruoli e preferenze di genere, difatti giochi, colori, regole sociali ripetutamente esposti ai soggetti fin dall’infanzia tenderanno a definire preferenze ed atteggiamenti futuri non prettamente scelti da noi stessi. Se volessimo espandere ancora di più le nostre premesse potremmo estendere tale fenomeno alle relazioni umane, pensate alla maggior facilità con cui ci sentiamo a nostro agio o preferiamo relazionarci con i nostri connazionali e tendiamo invece a vedere persone di altri paesi come diverse, è davvero così o semplicemente ci manca la familiarità con questi ultimi, quella familiarità che invece riscontriamo in ciò che meglio conosciamo?

Considerate le argomentazioni che vi abbiamo proposto la domanda è lecita: sapete davvero ciò che vi piace? O vi piace ciò che sapete? Fatecelo sapere nei commenti!

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