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Nuove dipendenze: solitudine o moltitudine?

E’ nel mare di internet che siamo destinati a naufragare! Non siamo più in grado di orientarci negli spazi reali, letteralmente di volgere ad oriente, dove il sole sorge, dove tutto ha origine; non solo le future generazioni ma anche le presenti e le trascorse sono destinate all’iperconnessione. La tecnologia asseconda, senza tregua, questo trend: pc, tablet, smartphone, orologi, occhiali da sole, perché ogni dispositivo prevede  l’accesso ad internet; il web, i social sono ormai un prolungamento dell’organismo.

La psicologia clinica ha nutrito l’esigenza di classificare in termini patologici l’iperùso di internet che sottende spesso altre dipendenze, come quella dal sesso, dal gioco d’azzardo o dai social network, introducendo tra le categorie di disturbo legate all’abuso, le dipendenze comportamentali, precedentemente annesse ai “disturbi da discontrollo degli impulsi”. Tale evoluzione è stata necessaria in seguito al riconoscimento, nelle dipendenze comportamentali, di caratteristiche proprie della dipendenza da sostanze. Quali:

  • Impossibilità a resistere all’impulso di mettere in atto il comportamento (compulsività)
  • Sensazione crescente di tensione che precede l’inizio del comportamento (craving)
  • Percezione di perdita di controllo
  • Piacere o sollievo durante la messa in atto del comportamento
  • Persistenza del comportamento nonostante la sua associazione con conseguenze negative

Le new addictions comprendono tutte le forme di dipendenza ove non sia previsto l’utilizzo di alcuna sostanza tossica (dipendenza da gioco d’azzardo, cyberdipendenza, dipendenza da smartphone, dipendenza da sesso, dipendenza affettiva, dipendenza da cibo, dipendenza da gioco alle console, dipendenza da shopping, dipendenza dal lavoro, dipendenza dallo sport). Il termine addiction deriva dal latino addictus, emissione di una condotta attraverso la quale l’individuo viene reso schiavo. In riferimento alle nuove dipendenze questa “schiavitù” rappresenta l’unico modo possibile per affrontare e curare la propria sofferenza psichica e per evitare un contatto, talvolta pericoloso, con i propri stati interiori.

Attraverso la creazione di relazioni virtuali, così protette e sicure, si è realizzata la volontà dell’individuo moderno che, architettando mondi immaginari e leciti deputati all’iperstimolazione sensoriale, bandisce ogni limite e conquista finalmente il terreno del permesso e del possibile, nel tentativo di superare così il senso di inadeguata limitatezza che lo attanaglia. Il cervello è progettato, evoluzionisticamente, per ricercare di continuo ciò che il corpo richiede per sopravvivere; tale meccanismo prende il nome di reward. Tutte le volte che compiamo gesti percepiti come indispensabili per la nostra conservazione (mangiare, bere, stringere relazioni di cura), il cervello rilascia delle sostanze dopanti che producono una sensazione di forte benessere. La dinamica di reward permette di creare un registro mentale in grado di conservare queste esperienze nella memoria, in maniera indelebile e vivida in modo da permetterci di reiterarle e ricercarle più agevolmente in futuro. È questo il meccanismo che si attiva con le dipendenze, dove il comportamento compulsivo diviene un atto deputato alla sopravvivenza.

Dal punto di vista sociologico, l’evoluzione culturale ed il cambiamento valoriale hanno sicuramente contribuito all’espansione delle nuove dipendenze. Un mondo che offre accesso libero ed indistinto ad ogni stimolo ed a qualunque forma di conoscenza ha inevitabilmente contribuito all’esplosione di una dinamica psichica che prende il nome di “desensibilizzazione”.  Letteralmente non essere più sensibili agli eventi, che siano essi estremi o violenti, comporta l’incapacità allo stupore, all’indignazione ed alla sorpresa, la conseguenza della scomparsa di tali abilità umane cedono il passo alla noia, alla passività ed alla tacita accettazione. L’innovazione tecnologica può provocare stress e vuoto, al contempo l’immediata accessibilità alla soluzione, genera la pretesa della gratificazione istantanea, privandoci di un’altra fondamentale attitudine, il differimento della ricompensa. Il progresso tecnologico ha rivoluzionato il modo in cui le persone comunicano tra di loro, come interagiscono con la realtà. Probabilmente la nostra struttura psichica e cerebrale non è pronta a sopportare e tollerare tali ritmi, dunque reagisce all’affanno con la dipendenza. La plasticità neuronale umana necessita di lentezza, qualità proibita dal mondo odierno, per questo l’individuo sente l’esigenza di rifugiarsi in un luogo parallelo, creando relazioni mediatiche, reali ma cieche, cercando la soluzione rapida alla disperazione economica nel gioco d’azzardo, rincorrendo la perfezione fisica pretesa dalla cultura occidentale,  attraverso lo sport estremo; l’uomo ha creato un mondo per il quale si sente inadeguato,  continua ad apportare modifiche a sé stesso  piuttosto che all’ambiente e tutto ciò porterà ad una cronicizzazione di tale patologia.

Un esempio di cronicizzazione patologica nell’ambito delle new addictions è l’Hikikomori: una dipendenza da internet portata alle estreme conseguenze. Il fenomeno è stato riconosciuto in origine in Giappone con 500 mila casi diagnosticati e si è poi diffuso anche in occidente, con 50 mila casi solo in Italia. I sintomi più comuni manifestati dagli Hikikomori sono:

In periodo adolescenziale, i cambiamenti fisici, psichici ed ambientali, caratteristici di questa fase, provocano naturalmente nell’individuo un senso di inadeguatezza ed incertezza; la reazione a questa naturale evoluzione, per chi è affetto da Hikikomori, è un graduale e significativo allontanamento dal mondo esterno, fino a scegliere l’autoreclusione estraniante all’interno di una stanza, un luogo protetto che non espone l’individuo al fallimento sociale e dove gli unici contatti con il mondo esterno sono mediati da dispositivi elettronici e virtuali. Ciò provoca l’esplicitazione di una fobia sociale da un lato, ed il sovvertimento dei cicli circadiani e biologici sonno-veglia e fame-sazietà, per questo è spesso confusa con la depressione.

Ma quanto la solitudine virtuale è reale?

I giovani avventori dei social si confidano, si comprendono, comunicano, talvolta con persone che non abbracceranno mai, altre volte con volti camuffati o falsi nomi desiderati: è un’evoluzione delle relazioni. Ciò che sfugge non è il legame interpersonale, l’irrealtà non riguarda le relazioni, bensì, ciò che viene a mancare è lo spazio in cui contenerle e dove realizzare la condivisione. Il silenzio non è più concesso, perché con esso la relazione svanirebbe; l’utente che non è collegato, che non è presente in quello spazio virtuale, non c’è, non esiste, quando non risponde non gode del silenzio, che pure è relazione, ma cade nell’oblio, dimenticato!

Ciò che provoca l’incolmabile senso di solitudine, dunque, non sono i rapporti irreali, ma gli spazi inesistenti. La condivisione è nei luoghi , mentre i social sono fatti di parole destinate a perdersi, che mostrano la nostra illusoria esistenza nel mondo, senza sapere, però, più cosa sia il mondo!

APPROFONDIMENTI

Fobia sociale: La caratteristica principale della fobia sociale è la paura irrazionale di agire, in modo imbarazzante, in una situazione pubblica e di ricevere giudizi negativi.
Questa paura può portare ad evitare la maggior parte delle situazioni sociali.
Le situazioni più temute da chi soffre di fobia sociale sono quelle che implicano l’esigenza di agire al cospetto di altre persone, come ad esempio esporre una relazione o anche solo firmare, telefonare o mangiare, entrare in una sala dove ci sono persone già sedute. http://www.ipsico.it/sintomi-cura/fobia-sociale-ansia-sociale/

Fobia scolare: La fobia scolare è un disturbo caratterizzato dalla paura, irrazionale e non controllabile, di andare e/o restare a scuola. I bambini e gli adolescenti che ne soffrono presentano un livello d’ansia tale da compromettere significativamente la regolare frequenza scolastica ed il loro rendimento.

Ritmo circadiano: Il ritmo circadiano, in cronopsicologia, è un ritmo caratterizzato da un periodo di circa 24 ore. Il ritmo circadiano è regolato da un complesso orologio interno all’organismo (sito nel nucleo sovrachiasmatico) il quale si sincronizza con il naturale e ciclico alternarsi del giorno e della notte, mediante stimoli come la luce solare o la temperatura esterna e/o corporea, ma anche tramite abitudini di vita (ad esempio cenare sempre alla stessa ora).

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