La paura del buio, dei ragni o dei serpenti; la paura dell’ “uomo nero” o dei temporali; la paura dell’abbandono di una figura di attaccamento o di “cosa il futuro ha in serbo per noi”, è un’emozione che ogni individuo ha potuto sperimentare durante il proprio ciclo di vita. Occhi sbarrati, bocca semiaperta, fronte corrugata e un’incapacità momentanea di reazione attiva, sono le peculiarità di questa emozione primaria (universale ed innata) di difesa, “provocata da un determinato oggetto di cui si ha timore” distinguendola, in questo modo, dalla fobia caratterizzata da “timore irrazionale, ingiustificato di un oggetto o di una situazione” (Freud 1920). Il dizionario di Psicologia di Galimberti sostiene che: “La paura è spesso accompagnata da una reazione organica che prepara l’organismo alla situazione d’emergenza disponendolo, anche se in modo non specifico, all’apprestamento delle difese che si traducono solitamente in atteggiamenti di lotta o fuga. La paura predispone l’attivazione del sistema nervoso simpatico, per cui i peli si rizzano, ai muscoli affluisce maggior sangue ed il battito cardiaco aumenta preparando il corpo e la mente all’azione finalizzata all’attacco oppure alla fuga. Molte ricerche hanno evidenziato il valore positivo e funzionale della paura in termini di sopravvivenza e conservazione della specie sia a livello evoluzionistico (segnalare stati di allarme o pericolo agli altri), sia a livello soggettivo (processi di memoria e apprendimento) e sia sul piano psicofisiologico (attivazione sistema simpatico/parasimpatico). La paura, così come la vasta gamma di emozioni primarie che ognuno di noi ha a disposizione (per maggiori informazioni https://www.psiconovel.it/le-emozioni-una-mappa-corporea-per-capirle-meglio/), fa parte del normale processo evolutivo dell’individuo in quanto ha, di solito, un carattere transitorio e non interferisce significativamente con lo sviluppo psicoaffettivo.
Dinanzi alla consapevolezza del poter dire “tutti hanno paura”, risulta interessante soffermarsi sulla curiosa scoperta dell’esistenza di una rara malattia genetica (sindrome Urbach-Wiethe) di cui esistono solo 400 casi nella storia, che impedisce ai soggetti di provare paura a causa della calcificazione dei lobi temporali e dell’amigdala, parti del cervello connesse a questa emozione. Ultimo caso segnalato su questa patologia è quello di una donna 44enne sottoposta a svariati test con l’intento di spaventarla, senza sortire alcuna reazione e di cui riportiamo il link della notizia http://healthland.time.com/2013/02/11/how-to-terrify-the-fearless/ per i più curiosi!
Per il resto della popolazione mondiale, invece, provare spavento o terrore è un sentimento ricorrente e comune. Questa emozione è legata anche ad una vasta simbologia più o meno significativa tra le persone. La paura è rappresentata nella Smorfia Napoletana dal numero 90, nei tarocchi è identificata con la figura del diavolo e, ancora, negli incubi è simbolo di timore per cose od eventi della realtà. Inoltre come non menzionare la famosa notte di Halloween del 31 Ottobre, in cui si cerca di spaventare adulti e bambini con zombie, streghe ed incantesimi nel tentativo di evocare quell’emozione che “mette i brividi”. Da queste prerogative è stato costruito a Roma anche un parco divertimenti, “Cinecittà World” con attrazioni “da paura” che fanno rivivere le sensazioni di pelle d’oca e fiato sospeso caratteristico dello spavento e della paura.
L’esperienza di terrore e suspense più rappresentativa è maggiormente rimandata ai media, uno su tutti il cinema che, con i suoi grandi registi, inquietanti trame e sceneggiature da brivido, ha enfatizzato gli effetti di questa spaventosa emozione sull’uomo. Da The Ring a Nightmare, l’Esorcista, Venerdì 13 e God’s gonna cut you down, cortometraggio di un regista emergente per citarne solo alcuni, fino al celebre adattamento, adesso nelle sale, dell’iconico romanzo horror di Stephen King “IT”, trasposizione cinematografica del clown più cattivo della storia. Una ricerca pubblicata in questi giorni ha messo a punto come guardare film horror può lasciare un’“ansia residua” per lungo tempo anche se la paura è stata sperimentata durante l’infanzia o l’adolescenza (per maggiori approfondimenti http://www.hafricah.net/film-horror-gli-effetti-possono-durare-anni/).
Sebbene possa risultare una sensazione spiacevole da esperire psicologicamente (sensazione di spiacevolezza, insicurezza e negatività) e fisicamente (paralisi del corpo) impedendo l’individuo, seppur momentaneamente, di reagire in modo lucido, non si può far a meno di riconoscere la forte potenza adattiva della paura che svolge la funzione di avvertire gli altri membri del gruppo circa la presenza di un pericolo e quindi di richiedere un aiuto e un soccorso. Se invece la paura viene estremizzata e resa eccessivamente intensa, sfociando quindi in fobia o panico, perde la sua funzione adattiva e si converte in sintomo psicopatologico, sul quale bisogna intervenire con specifici approcci psicoterapici; ma questo argomento sarà oggetto di studio per un altro articolo!
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