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Allenamento e patologia: l’altra faccia dello sport

Lo sport è per la maggior parte delle persone una pratica messa in atto fin dalla più tenera età. Svolgere un esercizio fisico aiuta a sentirsi meglio, permette di entrare in relazione con gli altri, stimola ad affrontare la giornata con una carica maggiore, ci si prende cura di sé stessi.

E se così non fosse? Se la pratica dello sport passasse dall’essere fonte di benessere ad essere una necessità essenziale per poter stare bene? Come facciamo a distinguere un “sano” esercizio fisico da una pratica deleteria se ciò che dobbiamo valutare è considerato, dalla società intera, come il miglior modo per prenderci cura di noi stessi?

Palestre sempre piene, maratone e triathlon affollatissimi, hotel per le vacanze scelti in base alla presenza o meno della palestra interna, sono solo alcuni degli elementi che ci permettono di capire quanto l’attività fisica domini sempre più le nostre vite. Per gli “addetti ai lavori” saranno noti termini come cheat day, giorno della settimana in cui si può mangiare ciò che si vuole, anche i tanto temuti carboidrati, in contrapposizione al ferreo regime seguìto nel corso della settimana. Frasi del tipo “non posso venire a mangiare la pizza oggi, non è cheat day”; “non posso mangiare la pasta oggi, solo proteine”, sono un esempio della diffusione di questa condotta. Non meno conosciuto è il chest day, dedicato esclusivamente all’allenamento dei muscoli pettorali, in un giorno specifico della settimana. Insomma una scorreria di diete, frullati proteici, e allenamenti, dove la vita sociale rischia di ridursi drasticamente.

Non tutti i fanatici del fitness però possono essere considerati “dipendenti” dallo sport, poiché non è la quantità di attività fisica praticata a permettere di discernere gli uni dagli altri. La problematica risulta essere alquanto complessa e il modo patologico di approcciarsi allo sport potrebbe seguire diverse strade: c’è chi attraverso la routinaria e pervasiva attività fisica soddisfa l’implacabile bisogno di controllo, che spesso si estende ad ogni aspetto della vita; c’è chi, invece, ha fatto in modo che lo sport divenisse un vero e proprio stabilizzatore dell’umore, un modo per regolare il proprio equilibrio interno. In questi casi diventa difficile affrontare anche solo la possibilità di saltare un allenamento previsto o non riuscire ad allenarsi nella maniera desiderata.

Ciò a cui la dipendenza dall’esercizio fisico – come viene impropriamente chiamata – può condurre col passare del tempo, è avere difficoltà rispetto alle diverse aree di funzionamento dell’individuo:

  • problemi psicologici (avere difficoltà a concentrarsi su altro a causa del ricorrente pensiero all’esercizio fisico);
  • problemi sociali o lavorativi (non uscire con gli amici perché impegnati nell’attività fisica, concedersi pause pranzo e permessi lavorativi sempre più lunghi per poter fare allenamento);
  • problemi fisici (overtraining o allenamento praticato nonostante gli infortuni o contro parere medico);
  • problemi comportamentali (comportamenti sportivi stereotipati, inflessibili o finalizzati all’autopunizione se conseguenti all’ingerimento di cibo non preventivato).

Potrebbero, inoltre, sopraggiungere sintomi di astinenza qualora si cercasse di controllare o ridurre l’esercizio fisico, come l’esperire malessere fisico, sofferenza psicologica e un desiderio persistente di praticare l’attività.

Nei casi di exercise addiction come disturbo primario, l’accento è posto sull’attività fisica senza intaccare in maniera disfunzionale l’alimentazione. La perseveranza nell’esercizio significa raggiungere uno stato di benessere, di sollievo da stress e ansie quotidiane, e permette ai soggetti di alzare notevolmente il tono dell’umore tanto da potersi considerare simile, negli effetti, all’assunzione di droghe. Trascurare l’allenamento produce l’astinenza, umore basso e malessere. Questo è ciò che ha permesso di riscontrare delle affinità tra tale problematica e la parola dipendenza.

Di frequente l’exercise addiction si manifesta, invece, come disturbo secondario a disturbi alimentari. Il focus in questo caso è posto principalmente sull’alimentazione, a cui consegue un intenso allenamento. L’abuso di esercizio fisico andrebbe per cui ad affiancarsi a patologie come anoressia, bulimia e dismorfismo muscolare. In passato, attraverso lo studio di diversi casi clinici di body builders, venne sviluppata la definizione di reverse anorexia per indicare che le preoccupazioni rispetto all’aspetto fisico, possedute da tali soggetti, non consistevano nell’idea persistente di dover dimagrire, tipica dell’anoressia, ma in quella opposta, ovvero accrescere la propria massa muscolare. La preoccupazione per cibo e calorie ingerite risultava la medesima dei soggetti con disturbi alimentari, così come l’insoddisfazione per il proprio aspetto fisico. Dal 1997 in poi fu dato a questo disturbo il nome di dismorfismo muscolare, caratterizzato dalla preoccupazione di non possedere un corpo magro e muscoloso; da una riduzione delle attività sociali o lavorative a causa della necessità di mantenere una certa dieta ed un certo allenamento; dalla preoccupazione di essere muscolarmente troppo piccoli o inadeguati. Questo specifico disturbo è maggiormente diffuso nel genere maschile. Sembrerebbe che potenziando la muscolatura l’uomo riesca a raggiungere quel grado di differenziazione sessuale dalla donna che lo identifichi in quanto uomo. Questo specifico pensiero porta il maschio a pensare che più sarà “pompato” più sarà riconoscibile in quanto essere virile.

Ma perché un semplice toccasana può arrivare a diventare un vero e proprio disturbo? Si può ipotizzare che la pressante immagine muscolosa, atavicamente collegata all’essere maschile, sia oggi, attraverso la grande esposizione che social network e simili fanno del corpo, una delle principali motivazioni della ricerca fisica della perfezione. Non solo la donna ha subìto nel tempo categorizzazioni rispetto all’aspetto fisico, anche l’uomo ha da sempre combattuto con l’immagine mascolina caratterizzata dall’uomo forte, muscoloso, che non poteva mai ridursi ad essere un pappamolla, e che, per affermare la propria virilità, doveva essere in grado di alzare pesi sempre più grevi.

Le cause psicologiche che possono sottostare a questo tipo di problematica differiscono da persona a persona, potrebbero entrare in gioco dinamiche legate all’autostima, ad ansia e stress, al perfezionismo ed al controllo. Proprio questa varietà di fattori in gioco presuppone che il trattamento debba essere calibrato sulla base delle diverse situazioni. Non sarà l’interruzione o la limitazione dell’attività fisica che porterà alla risoluzione del problema. Un intervento qualitativo dovrebbe mirare a ridare il giusto posto al corpo, aiutando l’individuo a ritrovare il proprio ritmo fisico, in equilibrio con il proprio benessere psicologico.

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