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La vergogna: un’ emozione sociale

La vergogna è catalogata tra le emozioni secondarie che compaiono dopo il raggiungimento del secondo anno di vita, poiché implicano lo sviluppo della crescita personale e l’interazione sociale per essere apprese. Inoltre è necessaria la percezione del giudizio dell’altro, perciò il bambino deve essere arrivato ad una maturazione tale per cui possa essere in grado di effettuare una distinzione tra sé stesso e l’altro; per tale ragione è definita un’emozione sociale. (Per maggiori approfondimenti consulta anche https://www.psiconovel.it/le-emozioni-una-mappa-corporea-per-capirle-meglio/). Quest’ultima è strettamente correlata al concetto di autostima (percezione che si ha di sé stessi unita alla considerazione che gli altri hanno di noi) e si sperimenta in seguito alla percezione della propria inadeguatezza a causa di un fallimento nel conformarsi a degli standard culturali di riferimento. Ecco allora che il distogliere lo sguardo, il ripiegare la postura, il voltare il viso e l’arrossire diventano tutte manifestazioni visibili che in quel momento si vorrebbe essere invisibili!

La vergogna è il frutto di un conflitto interno con il sé, pertanto ne va a minare l’integrità e le proprie capacità. Essa infatti può coinvolgere l’ambito:

  • dell’essere, profonda e dolorosa, riguarda l’identità di una persona
  • dell’agire, meno invasiva e riguarda l’aspetto del “fare”
  • situazionale, in cui si subisce passivamente il sentimento (vergognarsi della propria famiglia o del gruppo di appartenenza; vergogna per aver ricevuto lodi immeritate; vergogna di affrontare situazioni scomode).

Da ciò appare evidente un’incapacità di conformarsi ad aspettative, o anche norme e valori, ritenuti indispensabili per avere una buona considerazione di se stessi.

Verso tale emozione l’individuo può reagire in duplice modo: arrabbiandosi od isolandosi. Le personalità narcisistiche, ad esempio, presentano all’interno del nucleo patologico la vergogna; la necessità di nascondere un senso di sé svalutante porta i soggetti che ne soffrono ad auto-glorificarsi. Poiché teme una valutazione negativa da parte degli altri, il narcisista svaluta quest’ultimi, esprime indignazioni ostili al fine di deviare la vergogna da cui desidera nascondersi. Oppure l’anoressica si sente così male con sè stessa che vorrebbe solo nascondersi; o ancora il tossicodipendente, recidivo, crea un circolo vizioso autodistruttivo per punire sè stesso.

Quando invece la vergogna viene tradotta in rabbia può diventare un’emozione pericolosa e devastante, fino a provocare deterioramento del sé ed influenzare negativamente la percezione di sé stessi. Alcuni studi empirici condotti negli anni ’90 hanno dimostrato l’esistenza di un collegamento tra la vergogna e la rabbia; le descrizioni dei soggetti riferite alle proprie esperienze di rabbia erano imputate principalmente a tale emozione, la quale derivava dalla percezione di perdita della propria autostima. Inoltre i punteggi dei partecipanti circa le proprie esperienze di vergogna mostravano che non era presente solo il desiderio di nascondersi, ma anche un ulteriore aspetto del disagio: i soggetti sentivano il desiderio di punire gli altri, a causa dalla rabbia che si genera unitamente alla vergogna.

Non essendo un’emozione auto-riferita, la vergogna non riguarda esclusivamente la consapevolezza di sé e non è in discussione unicamente la valutazione di sé stessi nei confronti degli altri e da parte degli altri. Questi, infatti, esprimono delle opinioni e giudicano il nostro comportamento, mentre noi assumiamo il loro punto di vista. Ma davvero la versione di noi stessi fornita dagli altri è più attendibile e realistica della nostra? Il Professor Gerbner, a tal proposito, ha formulato negli anni ’70 la Teoria della Coltivazione, per spiegare questo meccanismo psicosociale, che indaga gli effetti a lungo termine della televisione sulla comunità. L’idea è che il mezzo mediatico fornisca una serie di rappresentazioni mentali, non specifiche ed immediate, ma piuttosto cumulative della realtà, che penetrano nella coscienza collettiva e portano lo spettatore (dall’infanzia all’età adulta, per questo si parla di “coltivazione”) a vivere in un mondo che somiglia a quello del teleschermo. Quando gli altri ci rimandano una rilettura del nostro modo di essere o del nostro comportamento, tendiamo a prestare attenzione principalmente agli aspetti negativi. Sarebbe auspicabile vivere una vita non come il riflesso di quella degli altri ma come specchio del proprio sè autentico!

Qualche differenza:

  • Pudore: non è da confondere con la vergogna che nasconde quasi sempre senso di inadeguatezza; esso piuttosto si riferisce alla volontà di non mostrarsi in pubblico attuando una sorta di difesa psicologica del proprio spazio personale.
  • Imbarazzo: nasce esclusivamente in un contesto sociale (vergogna invece è un’autovalutazione di inadeguatezza)  e si manifesta in caso di non condivisione del pensiero manifesto degli altri.
  • Senso di colpa: è in discussione il “cosa ho fatto”, segue la trasgressione, vede come elemento fondamentale la riparazione ed attiva l’angoscia della punizione di ciò che è accaduto precedentemente. La vergogna riguarda il “come sono”, la percezione dell’individuo di un fallimento della propria dignità con pochissime possibilità di riparazione.

 

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