“Uppgivenhetssyndrom” in svedese, ”Resignation syndrome” in inglese, è la meno nota “sindrome da rassegnazione” che colpisce bambini e ragazzi rifugiati generalmente tra 7 e i 19 anni. Maggiormente riscontrata in Svezia, paese europeo che in proporzione accoglie più rifugiati, si configura come una sorta di letargo, una disconnessione dal mondo reale conseguente alla negazione di permesso di soggiorno a favore della famiglia d’origine.
Sebbene non siano presenti alterazioni a livello fisico e neurobiologico, i soggetti mostrano uno stato catatonico e apatico e, in alcuni casi, non riescono nè a mangiare nè a bere. Il direttore dell’unità psichiatrica dell’ospedale universitario di Stoccolma ne ha raccontato i sintomi: “I bambini diventato totalmente passivi, immobili, fiacchi, schivi, taciturni, incapaci di mangiare e bere, incontinenti e privi di reazioni dinanzi a stimoli fisici o al dolore. Questi piccoli pazienti vengono chiamati “bambini apatici”. Nonostante le cause continuino a non essere chiare, è stato ipotizzato che alla base di questo disturbo ci sia un evidente trauma con forte stress conseguente a tutta una serie di esperienze negative vissute insieme alla famiglia.
Sulla questione della prevalenza circoscritta solo a determinate aree geografiche, gli studiosi spiegano che si può trattare di una “psicogenesi culturale”, un disturbo psicologico endemico legato ad una società specifica. Secondo gli esperti, ogni cultura possiede ciò che viene definito un ”repertorio di sintomi”, ovvero un range di sintomi fisici disponibili all’inconscio per l’espressione del conflitto psicologico. Il comportamento dei bambini, dunque, viene ad essere un sacrificarsi per la famiglia, una sorta di meccanismo di difesa acquisito dopo l’esperienza traumatica della migrazione. Ciò che accomuna questi bambini, figli di molte parti del mondo, è l’insicurezza quotidiana, vissuta in prima persona e filtrata dalla famiglia, in attesa di sapere cosa ne sarà del loro futuro.
Alcuni scettici sostengono che i bambini siano indotti dai loro stessi genitori ad agire in questo modo per evitare di ritornare nei propri paesi d’origine; teoria smentita della comunità internazionale, secondo cui la malattia sia dovuta a due traumi fondamentali: gli abusi subiti nel Paese di provenienza, e la paura, dopo essersi ambientati in Svezia, di essere rimpatriati. Gli svedesi, ad esempio, hanno dato avvio ad una petizione con le cui firme si è ottenuta la revoca della deportazione di centinaia di famiglie con permesso scaduto. All’interno di tutti i conflitti e di tutte le migrazioni, i bambini sono sempre vittime. Il bisogno di sicurezza e di chiarezza, che è fondante per chi si trova nella fase dell’infanzia, non può esistere in un contesto di guerra, di fuga e di miseria estrema. Attraversare precariamente il mondo al seguito dei genitori, in viaggi che a volte durano anni interi, mette a dura prova non solo la sopravvivenza, ma anche la psiche di questi bambini che, una volta giunti a destinazione, avrebbero diritto di potersi fermare, per costruire e ricostruire tutto quello che hanno perso. La condizione di incertezza legata alle scadenze dei rinnovi non permette di scaricare dalle spalle della famiglia la sensazione di paura, di fragilità, di precarietà e di fuga. I bambini colpiti da Sindrome da rassegnazione sono quindi bambini che crollano sotto il peso di una fatica psicologica eccessiva lunga anni e che sembra non avere mai fine. Una vita che non trova mai casa.
Gli studi a riguardo hanno dimostrato che nonostante le condizioni di questi bambini e ragazzi siano migliorate dopo l’accoglimento delle richieste di asilo delle famiglie, poi non tutti gli esiti di tale sindrome sono stati positivi e superati. In tal senso le ricerche future dovranno impegnarsi a fare maggiori chiarezze sulle cause e sul trattamento della sindrome da rassegnazione al fine di salvaguardare questi soggetti da possibili conseguenze devastanti sul proprio benessere psico-fisico.