Attentato alle Twin Towers, tsunami, terremoti di svariate entità che hanno colpito l’Italia negli ultimi anni sono tra gli episodi annoverati come catastrofi che, artificialmente o naturalmente, lasciano crepe profonde nel cuore e nella mente di chi le subisce. La minaccia, il danno percepiti da un fatto sconvolgente che rende il “dopo” insostenibile e doloroso rispetto ad un “prima” vissuto con calma e serenità, potrebbero rappresentare un pericolo per la normale sopravvivenza dell’individuo che li esperisce. Fatti conclamati come quelli sopra citati ma anche episodi di vita quotidiana come un licenziamento dal lavoro, od inaspettati, come la perdita di una persona cara o violente aggressioni psico-fisiche, possono generare impotenza, rabbia e frustrazione ponendo la persona ad “un punto di non ritorno”.
Spesso si sente parlare di Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS) come patologia conseguente al vissuto di eventi traumatici, catastrofici e violenti e così definito nella nomenclatura del DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) poiché associato ai seguenti sintomi:
- Ricorrenti, involontari, intrusivi e spiacevoli ricordi dell’evento/i traumatico/i;
- Ricorrenti sogni spiacevoli in cui il contenuto e/o le emozioni del sogno sono collegati all’evento/i traumatico/i;
- Reazioni dissociative (per es., flashback), in cui il soggetto sente o agisce come se l’evento/i traumatico/i si stesse ripresentando;
- Intensa o prolungata sofferenza psicologica all’esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simboleggiano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento/i traumatico/i;
- Marcate reazioni fisiologiche a fattori scatenanti interni o esterni che simboleggiano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento/i traumatico/i.
Tale condizione pone l’individuo in uno stato di ipervigilanza, in quanto ogni minimo stimolo può essere ricondotto all’episodio traumatico e comporta un isolamento sociale allo scopo di evitare situazioni rischiose o che in qualche modo possano fargli rivivere quel dolore. Infatti il trauma non è solo un fatto accaduto nel passato, ma una cicatrice ben marcata nella mente e sul corpo della persona, un’impronta che segna inevitabilmente il modo di pensare ed agire di chi la porta, di lì in avanti. Importante a questo proposito diventa ricondurre l’individuo ad una visione unitaria del proprio sé e fare in modo che cominci a riconoscere nuovamente le proprie emozioni e sensazioni senza che esse necessariamente prendano il sopravvento contribuendo a mettere in atto azioni disfunzionali che gli impediscano di gestire gli eventi.
Negli ultimi anni gli esperti hanno posto molta attenzione sul concetto del trauma e sul meccanismo di dissociazione ad esso connesso, in quanto le persone traumatizzate vivono costantemente nel ricordo di ciò che è accaduto ed hanno, quindi, difficoltà a capire cosa stia avvenendo nel loro presente. Il persistente stato di paura e allarme limita la loro capacità di guardare al futuro, di avere progetti e desideri. Ciò che rende ancor più frustrante il traumatizzato è l’impossibilità di riconoscere e vivere anche emozioni positive e piacevoli, che nulla hanno a che vedere con il passato doloroso, perché la soglia minima percettiva ha subìto un abbassamento di tollerabilità così brusco che ogni emozione viene vissuta in modo terrificante ed insopportabile. Pertanto sembra necessario proporre a questi soggetti una rieducazione che parta dalla definizione e dal riconoscimento dei propri stati interni paurosi e temuti, insieme ad una riacquisizione familiare delle sensazioni corporee. È importante sottolineare e comprendere che ciò che è successo non può essere cambiato o cancellato, ma è possibile riprendere possesso, ripercorrendo il trauma delle sensazioni senza più esserne sopraffatti.
Il trauma si configura come un freezing, cioè una brusca ed estrema riduzione del tono muscolare accompagnata da una disconnessione fra i centri nervosi superiori e inferiori e, quando è impossibile fuggire, quando non si ha scampo, simulare la morte diventa l’unico modo di sopravvivere ad una situazione senza fuga. Per questi motivi, maggior successo nella gestione di tale disturbo è vantato dal trattamento cognitivo-comportamentale, orientato ad integrare un intervento sui processi legati alle funzioni alte del cervello e a quelli legati alla corporeità (definite oggi “terapie di terza ondata”). Ciò che spesso rende più efficace l’intervento è il ripristino dei meccanismi di funzionamento sociale di una persona, reso possibile attraverso la strutturazione di una buona alleanza terapeutica, con lo scopo di riabituare il soggetto a tollerare la sensazione di contatto umano ed in seguito a beneficiarne, per poi riprendere contatto con se stesse e le proprie emozioni. E’ confortante pensare che gli psicologi oggi abbiano maggiori strumenti per individuare, comprendere ed intervenire su un tema così delicato come il trauma, che quasi quotidianamente attanaglia la società contemporanea sempre più vittima di orrori e tragedie che minacciano la sua stessa integrità. Fornire assistenza ad individui che subiscono dolori così invalidanti diviene fondamentale per il recupero del proprio presente e per la conquista di un futuro ancora tutto da scoprire senza che il passato sia troppo irruento e insidioso.