Il termine burnout nacque agli inizi degli anni 90, letteralmente sta per “bruciarsi, surriscaldarsi, esaurirsi”, inizialmente venne coniato per indicare un arresto dei successi nella carriera degli atleti o un’incapacità a mantenere uno standard elevato nelle proprie prestazioni. Successivamente la psichiatra C. Maslach, nel 1975, adottò tale termine per indicare una sindrome caratterizzata da un crollo dovuto a stress lavorativo, che si sostanzia in esaurimento emozionale, perdita di interesse, depersonalizzazione, riduzione delle capacità personali. In principio il burnout era associato esclusivamente alle cosiddette helping professions, le professioni di tipo assistenziale o sanitario che prevedono una presa in cura dell’altro e, di conseguenza, un coinvolgimento relazionale in cui non riuscendo a gestire l’empatia ci si identifica con i problemi dell’altro. Nel tempo, tale concetto è stato esteso a tutte le categorie lavorative che si sostanziano in un contatto con l’utenza o alte condizioni pressanti e stressanti, come lavori di grande responsabilità. Le pressanti richieste del mondo lavorativo moderno, il cambiamento delle modalità lavorative, l’adattamento ad una professione differente da quella desiderata e/o una remunerazione scarsa hanno comportato un aumento graduale e costante di tale patologia, soprattutto tra i lavoratori dei paesi occidentali.
Le difficoltà del lavoro con l’utenza si riscontrano nell’incontro relazionale che si verifica tra le parti, un incontro che deve tener conto delle molteplici necessità e richieste degli utenti e della risoluzione dei loro problemi; in questi casi il livello di stress lavorativo può divenire elevato. La medesima condizione può verificarsi nei lavori ad alta responsabilità in cui è frequente il rischio di frustrazione nel caso di un mancato raggiungimento degli obiettivi, laddove ad una maggiore responsabilità si associa un’ampia possibilità di errore. Stress e frustrazione incidono sull’energia e sulla dedizione solitamente impiegate nel lavoro, e conducono ad un calo di impegno e motivazione; sentimenti positivi inizialmente correlati al lavoro, come entusiasmo e piacere, si trasformano in ansia, insoddisfazione, insofferenza e rabbia. I correlati psicologici di tale condizione sono:
-
- esaurimento emotivo e nervoso, ci si sente svuotati, prosciugati, la dedizione al lavoro impiega tutte le energie disponibili rendendo il soggetto estremamente stanco ed insofferente, non si è più in grado di far fronte alle eccessive richieste del lavoro e manca l’energia per dedicarsi a nuovi progetti
-
- cinismo, si assume un atteggiamento freddo e distaccato rispetto alla propria professione, e si diventa indifferenti e spesso aggressivi verso i problemi altrui, si riduce al minimo il proprio coinvolgimento emotivo, tale situazione si configura al pari di un meccanismo di difesa, il fine è evitare l’esaurimento e la sensazione di fallimento che caratterizzano il burnout
- inadeguatezza, ci si sente poco adeguati e incapaci, ogni nuova opportunità è vissuta come una nuova pressione, ciò comporta un aumento di pensieri negativi anche e soprattutto nei propri confronti conducendo il soggetto ad una “doppia lotta” quella contro il mondo esterno e quella contro il proprio mondo interiore
Appare chiaro come questa condizione vada ad incidere negativamente sul benessere psicologico e fisico dell’individuo, minando notevolmente la propria capacità di lavorare. Per parlare di burnout è necessario che esso si verifichi in corrispondenza del turno lavorativo, o nel momento in cui ci si prepara per andare a lavoro, attraverso le seguenti manifestazioni: nervosismo, irrequietezza, apatia, indifferenza, ostilità, stanchezza, insonnia, cefalea, disturbi cardiovascolari, risentimento, alta resistenza ad andare al lavoro, bassa stima di sé, sensazione di fallimento, difficoltà nelle relazioni. Se il soggetto presenta questo quadro solo in riferimento a momenti lavorativi si può considerare un problema relativo al ruolo lavorativo e non all’individuo in sé.
La presenza del burnout spesso induce gli individui a cercare vie risolutive alternative per evadere dalla situazione di stress e dai pensieri negativi; non è raro che ci si affidi all’abuso di alcool, di psicofarmaci, o al gioco d’azzardo, attività che compromettono in realtà ancor di più la salute psicofisica del soggetto. È consigliabile dunque una misura preventiva nel caso in cui ci si senta di iniziare a perdere il controllo della situazione, rivalutando gli aspetti positivi del proprio lavoro e rispettando la propria personalità nella scelta dello stesso, evitando mestieri che ci facciano sentire troppo sotto pressione. Sarebbe utile utilizzare strategie di prevenzione promuovendo attività che accrescano l’energia ed il coinvolgimento dei lavoratori, rendendoli partecipi dei processi decisionali, ponendo degli obiettivi realistici, variando la routine, prevenendo il coinvolgimento eccessivo dei soggetti, applicando tecniche di rilassamento, e rafforzando le relazioni positive con i propri colleghi di lavoro in modo da fungere da contenitori di angosce e frustrazioni gli uni degli altri. Nel caso in cui un lavoro preventivo non sia più sufficiente è necessario rivolgersi ad un aiuto professionale, uno psicologo o uno psicoterapeuta potrebbero aiutare ad identificare le giuste strategie per ridurre lo stress e superare il momento difficile, migliorare la conoscenza di sé stessi e delle proprie reazioni agli eventi identificando quelle disfunzionali al fine di renderle adattive, conoscere i propri limiti e rendere le proprie aspettative adeguate alla realtà che si sta vivendo per non incorrere più nella frustrazione.