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Tocofobia: dalla paura del parto alla rinuncia alla genitorialità

La gravidanza è un evento considerato positivamente dalla società, per cui associato a qualcosa di lieto, gioioso, felice. Ciò a cui spesso non si pensa è che questo particolare stato porti con sé emozioni e cognizioni del tutto nuove, che ancor prima di produrre gioia, possano in realtà spaventare. Nell’immaginario collettivo la donna è geneticamente predisposta non solo a fare figli ma, anche a desiderarli ed a vivere la gravidanza in maniera serena, perché “ci sono passate tutte” e “da che mondo è mondo si è sempre fatto così”. La realtà dei fatti è però un po’ diversa, non tutte le donne desiderano avere un figlio, oppure nonostante lo desiderino molto, quando scoprono di essere incinte si sentono frastornate, poco pronte, spaventate. La difficoltà in questi momenti è data anche dal non riuscire a parlarne con serenità, in quanto la rete sociale tende spesso a minimizzare queste esternazioni con frasi del tipo “quando poi lo avrai tra le tue braccia passerà tutto”, “dopo il parto dimenticherai tutto”, le future madri si trovano così a provare vergogna e paura di essere considerate madri inadeguate a causa delle sensazioni esperite. Lo stato emotivo difficile che si può vivere in queste situazioni è accentuato dal confronto con altre madri che hanno vissuto o stanno vivendo positivamente la propria gestazione, considerandolo il periodo più bello della propria vita, sia nel periodo di gravidanza sia in quello immediatamente successivo dell’allattamento, altro periodo non facile per alcune. Un confronto di questo tipo può portare la donna a preoccuparsi dell’ambivalenza delle proprie cognizioni ed emozioni, si inizia a dubitare di se stesse, non ci si capacita del perché delle proprie paure, ci si chiede perché non si senta questa enorme felicità che in tante decantano, ci si sente sbagliate. Buona parte di queste emozioni sono sperimentate da un gran numero di donne, anche se per timore di essere giudicate non le verbalizzano. In casi più consistenti si può arrivare a provare una vera paura patologica del parto, la tocofobia.

Cos’è?

Il termine tocofobia deriva dall’unione di due parole greche tocòs, ovvero parto, e phòbos, ovvero paura, sta letteralmente per paura del parto. È stata identificata per la prima volta nel 2000 da Kristina Hofberg e Ian Brockington, i quali si occuparono di rilevare l’elevato stato di paura delle donne nell’affrontare un parto, e come spesso le stesse mettessero in atto molteplici strategie di evitamento, come rimandare continuamente il momento di una gravidanza, o addirittura rinunciare ad averla. La tocofobia si caratterizza come uno stato emotivo negativo associato al dolore del travaglio (paura di soffrire o riportare lesioni al tratto genitale), o alla nascita del bambino ed a tutte le implicazioni personali e sociali che ne conseguono (la cura del neonato, le difficoltà nella ripresa della propria vita sociale e lavorativa, i cambiamenti fisici https://www.psiconovel.it/mamme-social/). Questa paura può essere influenzata ed accentuata da esperienze traumatiche passate rispetto a problematiche connesse a gravidanze precedenti (https://www.psiconovel.it/violenza-ostetrica-preservarsi-dai-soprusi-in-sala-parto/) o dall’ascolto di testimonianze di parti difficili o complicazioni in fase di travaglio. L’intensa paura percepita, unita allo stato ansioso che ne consegue, può avere gravi conseguenze, tra queste il prolungamento della fase del travaglio, la creazione delle basi per una successiva depressione post partum, o il disturbo post traumatico da stress.

Come si manifesta?

Si caratterizza con un profondo malessere che può essere presente in diversi momenti gestazionali, durante la gravidanza, al momento del parto o anche nel primo periodo successivo ad esso. Si distingue dalla semplice preoccupazione percepita tipicamente dalle madri al pensiero del parto a causa dell’entità con sui si manifesta, la paura è molto intensa e passa dalla sensazione di dover percepire un dolore insopportabile alla vera e propria paura della morte causa parto, alcune manifestano insofferenza e disagio per la trasformazione fisica dovuta alla gravidanza e per la crescita del feto nel proprio grembo, arrivando ad esperire veri e propri stati di dissociazione dal proprio corpo. Sembrerebbe questo il motivo di una crescente richiesta della possibilità di poter partorire tramite taglio cesareo, meno temuto rispetto a quello classico idealizzato come quello più doloroso e pericoloso a causa delle frequenti lacerazioni o episiotomie (incisione del perineo per facilitare il parto), ma in realtà la tocofobia può essere presente in entrambi i casi. Alcuni sintomi riferibili a questa fobia sono: nervosismo, ansia, panico, difficoltà a concentrarsi ed a dormire, senso di inefficacia, abbassamento dell’autostima, tachicardia, vertigini, tremori, sensazione di perdere i sensi.

Conseguenze e strategie di intervento

Un mancato intervento nei casi di tocofobia può condurre ad una acutizzazione della patologia nelle gravidanze successive o alla decisione di non avere figli nonostante li si desideri, all’astensione dai rapporti sessuali o rigidi meccanismi di pratiche contraccettive, fino ad arrivare alle richieste di isterectomia. Tali situazioni creano, in gran parte dei casi, conflitti nella coppia e problematiche che dal singolo si ripercuotono in ambito familiare, oltre ad avere un impatto negativo nella relazione diadica madre-bambino. È molto importante riconoscere precocemente i segni della tocofobia per affrontarla al meglio, difatti medici di famiglia, ostetriche, ginecologi devono essere informati sui sintomi e sulle situazioni che possano favorirne l’insorgere ed operare in maniera tempestiva, attuando una fase informativa rassicurante rispetto al parto e consigliando all’occorrenza un confronto con psicologi o psicoterapeuti esperti in perinatalità. Questi confronti permetterebbero alle donne di non essere lasciate emotivamente sole, di significare e rimodulare cognizioni ed emozioni assegnandogli il giusto nome e la giusta valenza, di appropiarsi di tecniche terapeutiche utili nei momenti maggiormente stressanti, di rafforzare il proprio senso di efficacia e la propria autostima. Tale confronto servirebbe inoltre a sensibilizzare l’intera rete sociale di riferimento sul fenomeno, e a rendere le donne consapevoli del fatto che non si è sole, non si è sbagliate, non si è meno donne, non si è fallimentari nel proprio “ruolo” geneticamente e socialmente imposto, non si è dei robot biologicamente programmati ma semplicemente umane.

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